Storia della letteratura italiana/Niccolò Machiavelli

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Indice del libro
Storia della letteratura italiana
  1. Dalle origini al XIV secolo
  2. Umanesimo e Rinascimento
  3. Controriforma e Barocco
  4. Arcadia e Illuminismo
  5. Età napoleonica e Romanticismo
  6. L'Italia post-unitaria
  7. Prima metà del Novecento
  8. Dal secondo dopoguerra a oggi
Bibliografia

Nel corso della sua vita Machiavelli è stato testimone e protagonista di molte delle vicende che hanno travagliato Firenze e l'Italia nei primi decenni del Cinquecento. Dapprima segretario e poi cancelliere della repubblica fiorentina, ha compiuto diverse missioni diplomatiche per conto della sua città nelle principali corti italiane. Da queste esperienze, unite a una solida conoscenza dei classici, trae il materiale per le sue opere politiche, in particolare Il Principe e i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, che fanno di lui il fondatore della moderna scienza politica.

La vita[modifica]

La formazione e i primi incarichi[modifica]

Santi di Tito, ritratto di Niccolò Machiavelli, seconda metà del XVI secolo. Firenze, Palazzo Vecchio

Niccolò Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio 1469 da Bernardo, dottore in legge, e Bartolomea de' Nelli. Pochi mesi dopo la nascita di Machiavelli, il 3 dicembre, Piero de' Medici, signore di Firenze, muore e lascia il potere ai figli Giuliano e Lorenzo, detto il Magnifico.

Nella Firenze medicea, fin dal 1476 Machiavelli viene avviato dal padre allo studio della grammatica, del latino e, successivamente, dei classici. Alla fine degli anni Novanta può così vantare una solida formazione umanistica. È inoltre collocabile alla fine del Quattrocento la sua trascrizione del De rerum natura di Lucrezio. Nello stesso periodo Machiavelli inizia la sua vita politica, ricoprendo incarichi pubblici. Il 15 giugno 1498 è nominato segretario della seconda cancelleria della Repubblica: solo poche settimane prima, il 23 maggio, Girolamo Savonarola era stato giustiziato. Il successivo 14 luglio Machiavelli riceve l'incarico di svolgere i suoi compiti seguendo gli ordini dei Dieci di Balla.

Gli anni seguenti sono costellati da missioni diplomatiche. Nel 1499 è da Iacopo IV d'Appiano a Piombino, quindi in aprile compone il Discorso su Pisa, grazie al quale Venezia accetta di togliere l'appoggio a Pisa, all'epoca in guerra con Firenze. Dopo essere stato ricevuto da Caterina Sforza Riario a Imola, nel 1500 compie una legazione a Pistoia e poi in Francia, in seguito all'attacco francese al Regno di Napoli. L'11 novembre Luigi XII e Ferdinando il Cattolico si spartiranno il territorio partenopeo. Intanto, nell'agosto 1501 Machiavelli sposa Marietta di Luigi Corsini, da cui avrà sette figli.

Le imprese di Cesare Borgia[modifica]

Negli stessi anni si compie l'ascesa di Cesare Borgia, detto "il Valentino", figlio del papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia). Grazie all'appoggio del padre, nel settembre 1500 conquista Rimini e Pesaro, e all'inizio del 1501 diventa duca di Romagna. L'anno successivo allarga il suo potere arrivando sino a Urbino (21 giugno 1502). Machiavelli prosegue la sua attività diplomatica e nel 1502, in seguito a una missione a Pistoia durante la lotta tra le fazioni dei Cancellieri e dei Panciatichi, compone il De rebus pistoriensibus. In maggio è ricevuto a Bologna, mentre nel mese di giugno esplode la rivolta ad Arezzo e nella Valdichiana, fino ad allora controllate da Firenze. Questa verrà domata in estate dall'esercito francese.

Il 24 giugno 1502 Machavelli è auditore del legato fiorentino, il vescovo Francesco Soderini, durante la missione diplomatica presso il Borgia. Il 22 settembre Piero Soderini è eletto gonfaloniere di Firenze. Il 5 ottobre Machiavelli è a Imola, di nuovo presso Cesare Borgia. Intanto nella penisola si forma una coalizione contro il Valentino: il 9 ottobre si tiene nel Perugino la congiura della Magione, nella quale alcuni luogotenenti e alleati del Valentino si riuniscono per eliminarlo. Le contromisure di quest'ultimo non si fanno però attendere. Convocati a Senigallia, i congiurati vengono fatti imprigionare e successivamente impiccati. Anche il cardinale Orsini viene fatto incarcerare per ordine del papa.

Nel mese di febbraio 1503 Borgia tenta di avanzare da Perugia verso la Toscana. Viene però bloccato dall'esercito francese di Luigi XII, che gli impone di cedere il controllo di Siena a Pandolfo Petrucci, il quale può così reinsediarsi il 29 marzo. Per Machiavelli il 1503 è un anno intenso anche da un punto di vista letterario: scrive il De natura gallorum e Del gastigo si doveva dare alla città d'Arezzo et Valdichiana.

La fortuna di Cesare Borgia è però destinata a calare nel 1503. Alla morte di Alessandro VI viene eletto papa Pio III (Francesco Todeschini Piccolomini), il cui regno durerà però poco più di un mese. Machiavelli viene inviato a seguire i lavori del nuovo conclave, che si chiude il 1º novembre con l'elezione di Giuliano Della Rovere, papa Giulio II. Senza più l'appoggio del padre, il Valentino deve ora fronteggiare le rivolte che scoppiano nei suoi domini. Il 13 gennaio 1504 è costretto a cedere al papa la Romagna, l'unico territorio che gli è rimasto fedele, e si rifugia in Spagna, dove morirà nel 1507.

Per Machiavelli prosegue intanto l'attività diplomatica, che lo porta presso varie corti italiane, e si occupa anche della riorganizzazione della milizia fiorentina, a cui dedica lo scritto La cagione dell'Ordinanza (1506). Il 12 gennaio 1507 è infine nominato cancelliere dei Nove della milizia e segue da vicino lo scontro tra Firenze e Pisa, recandosi spesso sul campo. Nel 1509, quando Pisa si arrende a Firenze, partecipa agli accordi tre le due città ed è incaricato di scegliere le milizie che entreranno a Pisa, in modo da evitare razzie.

Il ritorno dei Medici a Firenze[modifica]

La situazione nella penisola si fa però sempre più intricata. Il 10 giugno 1511 Machiavelli, come rappresentante di Firenze, è a Pisa, dove si riunisce il "conciliabolo" voluto dalla Francia per contrastare Giulio II. In risposta, il 4 ottobre si forma la Lega Santa, che riunisce il papato, la Spagna, Venezia e la Svizzera contro la Francia, con lo scopo dichiarato di liberare l'Italia dagli stranieri. Nel giugno del 1512 gli eserciti del papa e della Spagna attaccano la repubblica fiorentina, allo scopo di ripristinare il potere dei Medici. Il 29 agosto le milizie spagnole compiono il sacco di Prato, quindi il 31 dello stesso mese Piero Soderini è costretto a lasciare l'incarico di gonfaloniere e a scappare. Il 16 settembre i Medici tornano a essere signori di Firenze. Capo della famiglia è ora il cardinale Giovanni de' Medici, figlio del Magnifico, che torna insieme al fratello Giuliano e al nipote Lorenzo.

La posizione di Machiavelli si fa difficile. All'inizio di novembre scrive Ai Palleschi sostenendo, contro l'aristocrazia fiorentina, la necessità di continuare le politiche portate avanti dalla repubblica. Tuttavia, il 10 novembre 1512 viene condannato al confino per un anno e al pagamento di una mallevadoria del valore di mille fiorini d'oro. Nel febbraio 1513 anche Machiavelli sarà poi arrestato e torturato in seguito alla congiura antimedicea ordita da Agostino Capponi e Pietropaolo Boscoli.

L'Albergaccio di Machiavelli a Sant'Andrea in Percussina

Infine, l'11 marzo 1513 Giovanni de' Medici è eletto successore di papa Giulio II, con il nome di Leone X. Viene promulgata un'amnistia generale, grazie alla quale anche Machiavelli viene liberato. Si ritira così a Sant'Andrea in Percussina e inizia una fitta corrispondenza con Francesco Vettori, all'epoca ambasciatore di Firenze a Roma. All'amico, alla fine dell'anno, anticipa di avere scritto un opuscolo intitolato De principatibus. Inizialmente pensa di dedicare il libro a Giuliano de' Medici e, dopo la morte di lui, scrive lo dedica a Lorenzo, ma questo tentativo di guadagnare la stima dei Medici non avrà effetti.

Tornato a Firenze nel 1514, Machiavelli confida di poter entrare al servizio di Giuliano de' Medici, ma i suoi tentativi vengono ostacolati dal cardinale Giulio de' Medici (figlio del fratello del Magnifico). Attorno alla metà del 1515 inizia inoltre a frequentare gli Orti Oricellari, un cenacolo di intellettuali aristocratici che coltivavano il culto per la Roma repubblicana e che si riunivano nei giardini di Palazzo Ruccellai (da cui il nome del gruppo). Negli anni seguenti compie missioni in varie città, per conto di Vettori e di alcuni mercanti fiorentini. Nel 1520 riesce infine a essere ricevuto dal cardinale de' Medici, tornato a Firenze per riordinare la città dopo la morte di Lorenzo (che dal 1515 era stato capitano generale della città). In quanto capo dello Studio fiorentino, Giulio de' Medici ordina a Machiavelli di scrivere il Discursus florentinarum rerum post mortem iunioris Laurentii Medices, che sarà inviato a Leone X.

Nel 1521 Piero Soderini, ormai rappacificatosi con il papa, offre a Machiavelli il posto di segretario del condottiero Prospero Colonna, ma lo scrittore rifiuta. Sempre nello stesso anno è inviato a Napoli per seguire il capitolo generale dei frati minori. Nella città partenopea conosce Francesco Guicciardini, con cui stringe un rapporto di amicizia.

Papa Clemente VII (Giulio de' Medici), ritratto da Sebastiano del Piombo, 1531 circa. Getty Center, Los Angeles

Nel 1522 Leone X muore e gli succede per breve tempo Adriano di Utrecht, con il nome di Adriano VI. Alla morte di quest'ultimo, nel 1523, verrà eletto papa un altro esponente della famiglia Medici, il cardinale Giulio, che sceglie il nome di Clemente VII. Nel 1525 Machiavelli presenta al papa le Istorie fiorentine, e poco dopo il pontefice lo invia presso Guicciardini, all'epoca presidente della Romagna.

Nell'aprile 1526 si prepara però una nuova guerra tra la Francia e l'imperatore Carlo V. Machiavelli è nominato provveditore e cancelliere dei Procuratori delle mura di Firenze. Il 22 maggio il papa, la Francia, Firenze, Milano e Genova stringono a Cognac una Lega Santa. In luglio Milano è occupata dagli spagnoli. Machiavelli compie varie missioni presso Guicciardini, in concomitanza con la discesa dei lanzichenecchi in Italia. Questi il 6 maggio raggiungono e saccheggiano Roma (il celebre "sacco di Roma"). Il 17 maggio a Firenze viene dichiarata decaduta la signoria, mentre il 5 giugno Clemente VII è fatto prigioniero da Carlo V. Il 10 giugno Francesco Tarugi diventa segretario del governo fiorentino, venendo preferito a Machiavelli, che in questo periodo cade malato, forse di ulcera o di appendicite. Muore a Firenze il 21 giugno; il giorno successivo è sepolto nella basilica di Santa Croce.[1]

Gli scritti politici precedenti al Principe[modifica]

Negli anni in cui è cancelliere e segretario della Repubblica (1498-1512) Machiavelli scrive diverse opere di argomento politico, molte delle quali sono legate alla sua attività. Questi testi, nella loro versione autografa, sono ancora oggi conservati negli archivi di Firenze. Gli scritti ufficiali sono classificabili in tre categorie:

  • legazioni, dispacci inviati a Firenze dalle città in cui compiva ambascerie;
  • commissarie, resoconti di incarichi interni;
  • scritti di governo, in concomitanza con occasioni politiche e amministrative.

A questi si aggiungono i cosiddetti scritti politici minori, dedicati a particolari questioni su cui Machiavelli espone il suo personale punto di vista. A titolo di esempio si possono citare il De rebus pistoriensibus, in cui ipotizza come intervenire nei contrasti interni a Pistoia, e il De natura gallorum, una raccolta di massime sul comportamento dei francesi. Il modo che tenne il duca Valentino per ammazar Vitellozo, Oliverotto da Fermo, il S. Paolo et il Duca di Gravina Orsini in Senigaglia è invece il racconto della strage compiuta da Cesare Borgia contro i suoi alleati che congiuravano contro di lui, che nel 1532 viene pubblicato in appendice alla prima edizione del Principe.[2]

Il Principe[modifica]

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Su Wikibooks puoi leggere una versione commentata dell'opera Il Principe
Frontespizio di un'edizione cinquecentesca del Principe

L'opera più celebre di Machiavelli è un breve "opuscolo" di 26 capitoli intitolato De principatibus, scritto con una forma concisa ma incalzante. La notizia della sua stesura fu data a Francesco Vettori con una lettera del 10 dicembre 1513. Ma se questa data segna con esattezza la conclusione dei lavori, più difficile è stabilire le fasi della scrittura, che probabilmente si sovrappose ai Discorsi. È probabile che la prima stesura risalga a luglio-settembre 1513, mentre la dedica a Lorenzo de' Medici sarebbe successiva, tra settembre 1315 e settembre 1316.[3] Sembra in particolare che la dedica sia stato un tentativo di avvicinarsi alla famiglia Medici, dopo che era tornata egemone a Firenze.

Il Principe è stato stampato postumo nel 1531. Fino ad allora il testo ha circolato in forma di manoscritto, venendo letto e conosciuto da una cerchia ristretta di intellettuali.

I modelli letterari di riferimento[modifica]

È possibile ricollegare l'opera di Machiavelli agli specula principis medievali, trattati politici in cui veniva tratteggiata la figura del principe ideale. Erano chiamati specula perché, come con degli specchi, il principe doveva riflettere in essi la sua immagine e conoscere se stesso e quali atteggiamenti tenere. Il genere aveva conosciuto una certa fortuna anche con l'affermazione delle signorie nel Quattrocento.

Machiavelli tuttavia non vuole mostrare un modello ideale di principe, ma dare consigli basati sulla verità effettuale della politica. Non propone quindi norme morali, ma piuttosto indica quali mezzi sono utili per conquistare e mantenere lo stato. Nel fare questo suggerisce al sovrano, con una certa spregiudicatezza, di essere non buono, dissimulatore o crudele a seconda delle necessità.[4]

Nei prossimi paragrafi vedremo come sono organizzati i 26 capitoli che compongono l'opera.

I tipi di principato (capp. I-XI)[modifica]

Il Principe si apre con la classificazione dei diversi tipi di principato, e dei modi con sui possono conquistare e mantenere. Vengono distinti

  • i principali ereditari
  • e i principati nuovi, che a loro volta possono essere suddivisi in
    • principati misti, cioè aggiunti a uno stato preesistente
    • e principati nuovi del tutto, i quali possono essere conquistati
      • con la virtù e con armi proprie
      • oppure con la virtù e le armi altrui (l'esempio è Cesare Borgia).

Il capitolo VIII è dedicato ai principati conquistati per mezzo di scelleratezze. Machiavelli distinque tra una

  • crudeltà male usata, che viene impiegata per esclusivo vantaggio del tiranno e che cresce con il tempo,
  • e una crudeltà bene usata, a cui invece si fa ricorso solo in casi di estrema necessità e che si rivela utile per il bene dei sudditi.

Machiavelli passa quindi a parlare dei principati civili (cap. IX), di come si devono misurare le forze dei principati (cap. X) e dei principati ecclesiastici (cap. XI).[4]

Le milizie (capp. XII-XIV)[modifica]

Centrale nella riflessione politica di Machiavelli è il tema delle milizie. L'impiego di truppe mercenarie, all'epoca molto diffuso in Italia, viene criticato aspramente. I mercenari infatti non dimostrano attaccamento allo stato, ma offrono i loro servigi a chi offre il migliore ingaggio. Proprio questo è indicato come una delle cause della debolezza degli stati italiani. Piuttosto lo stato dovrebbe contare su armi proprie, eserciti composti da cittadini che combattono per difendere i loro interessi.[4]

Come deve comportarsi il principe (capp. XV-XXIII)[modifica]

Presunto ritratto di Cesare Borgia, opera di Altobello Melone (XVI secolo). Accademia Carrara, Bergamo

Seguendo la verità fattuale della politica, Machiavelli passa ad analizzare il comportamento che deve tenere un principe per conservare il proprio potere. Gli uomini, secondo l'autore, sono malvagi, avidi e violenti, e il principe non può ignorare questa realtà di fatto. Non potrà quindi seguire in tutto le norme della morale, ma dovrà adattare la sua natura alle esigenze del momento, comportandosi in modo non buono se necessario.[4]

I capitoli conclusivi (capp. XXIV-XXVI)[modifica]

Nel capitolo XXIV vengono analizzati i motivi per cui i principi italiani hanno perso i loro stati, e la principale causa è indicata nell'ignavia dei sovrani.

Il capitolo XXV è dedicato invece al rapporto tra virtù e fortuna: la virtù intesa come la capacità di far fronte alle avversità della fortuna.

Infine, il capitolo XXVI chiude l'opera con un'esortazione finale, in cui Machiavelli auspica l'arrivo di un principe nuovo, che riesca a imporsi come guida dell'Italia.

I Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio[modifica]

I tre libri dei Discorsi partono dalla lettura dei primi dieci libri di Ab Urbe condita, l'opera di Tito Livio dedicata alla storia di Roma antica. La loro stesura è stata molto complessa. Sembra che già nel 1513 Machiavelli stesse scrivendo un libro sulle repubbliche, che però era stato abbandonato quando l'autore si era dedicato esclusivamente al Principe. Queste sono state poi riprese e inserite in una nuova opera, composta tra il 1515 e il 1517. L'edizione a stampa sarebbe però stata pubblicata postuma, nel 1531.

Dedicati a Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai, due giovani esponenti degli Orti Oricellari, i Discorsi affrontano il problema della vita delle repubbliche, prendendo a modello la repubblica romana e partendo dalla esperienza diretta di Machiavelli come cancelliere della repubblica fiorentina.[5]

Rispetto al Principe, i Discorsi hanno un tono più disteso, con lunghe riflessioni sull'organizzazione dello stato. Il Principe inoltre affrontava il tema della monarchia per rispondere a un'urgenza, quella della crisi politica in cui versava l'Italia. I Discorsi sono invece il frutto di una riflessione durata anni, da cui traspare la simpatia dell'autore per la repubblica. Simpatia che è comprensibile se si considera che Machiavelli ha trascorso gran parte della sua vita politica nelle istituzioni della repubblica di Firenze. Più precisamente, riteneva che la nascita di un nuovo stato fosse possibile solo grazie all'azione di un principe, inteso come un uomo straordinario, ma che per governare poi questo stato non ci fosse forma migliore della repubblica.[6]

La Mandragola e il comico in Machiavelli[modifica]

Frontespizio della prima edizione a stampa della Mandragola, 1581

Il comico è sempre stato un aspetto importante nell'opera di Machiavelli. Si ipotizza che abbia iniziato a scrivere commedie già durante gli anni della cancelleria, ma di questa produzione ci è giunto un solo testo: il Belfagor, in cui riprende il tema tradizione della malignità delle donne.

Presto però Machiavelli si avvicina al linguaggio drammatico. Punto di partenza è la sua traduzione dell'Andria di Terenzio, con cui sperimenta un nuovo linguaggio teatrale. La sua commedia più importante è però la Madragola (1518) che viene considerata il capolavoro della letteratura teatrale del Cinquecento.

Trama

Il giovane Callimaco è innamorato di Lucrezia, moglie del vecchio Nicia, ma la donna mantiene un atteggiamento virtuoso e rifiuta il corteggiamento. Con l'aiuto del parassita Ligurio e del frate Timoteo, Callimaco riesce però a raggirare Nicia, facendo leva sul suo desiderio di avere figli. Al vecchio viene fatto credere che la moglie ritroverà la fecondità grazie a una pozione a base di mandragola. Tuttavia c'è un inconveniente: il primo uomo che avrebbe giaciuto con lei dopo avere bevuto la pozione, sarebbe morto. Nicia si affretta dunque a cercare una vittima e trova un "garzonaccio", che viene condotto nella stanza di Lucrezia. Questi è in realtà Callimaco travestito, che può trascorrere così la notte con l'amata. Alla fine della commedia, Nicia raggiante festeggia la ritrovata fecondità della moglie e accoglie in casa propria Callimaco, a cui deve l'idea della pozione.

Il prologo della commedia è una canzone, mentre il resto del testo è in prosa. Con un tono beffardo viene mostrato come i rapporti tra gli uomini possono avvenire solo attraverso la finzione. Da un lato c'è la saviezza di chi conosce i limiti degli uomini e sa usarli a proprio vantaggio, dall'altro chi invece è inconsapevole di tutto ciò e finisce quindi per essere usato da altri. Il maggiore esempio di saviezza è Lucrezia, che all'inizio viene descritta come un modello di virtù, ma che è in grado di mutare natura quando viene posta di fronte agli intrighi di Callimaco e alla dabbenaggine del marito.

Altra commedia molto famosa è la Clizia (1525), che riprende in parte la Cásina di Plauto e ripropone, con amara ironia, il conflitto tra giovani e anziani tipico della commedia classica.[7]

Le poesie[modifica]

Machiavelli fu anche poeta. La sua è prevalentemente una produzione d'occasione, legata cioè a determinati eventi pubblici. La poesia era d'altra parte per l'autore un modo per partecipare alle tradizioni proprie di Firenze, oltre che uno strumento di comunicazione diffuso tra le classi dirigenti della città. Machiavelli compone alcuni canti carnascialeschi, alcuni sonetti, due strambotti, un capitolo pastorale e una serenata in ottave.

Estraneo a questa poesia d'occasione è il Decennale. È un poemetto in terza riga scritto nel 1504 e pubblicato nel 1506, che riassume gli eventi della storia di Firenze e dell'Italia tra il 1494 e il 1504. Più tardi Machiavelli inizierà anche un Decennale secondo, dedicato agli anni 1505-1515, che però rimarrà incompiuto.

Bisogna poi ricordare i quattro capitoli morali in terza rima, dedicati a quattro temi centrali nella riflessione di Machiavelli: Di fortuna, Dell'ingratitudine, Dell'ambizione e Dell'occasione. La data di composizione è compresa tra il 1506 e il 1512.

Agli anni della sua lontananza dalla politica risale invece L'Asino, un poema in terza rima rimasto incompiuto e fermo al capitolo VIII. Si tratta di un tentativo di riunire tutti gli aspetti della sua riflessione sull'uomo. I riferimenti letterari sono il mito di Circe narrato da Omero, l'Asino d'oro di Apuleio e la Commedia dantesca.[8]

Le lettere[modifica]

Niccolò Machiavelli nello studio, Stefano Ussi, 1894

Nel corpus delle opere di Machiavelli ci sono giunte anche una serie di lettere, che sono molto importanti per ricostruire la sua personalità. L'epistolario in nostro possesso comprende però solo un numero limitato di testi: erano infatti riservati a scopi puramente pratici e privati, non pensati per la pubblicazione. Ciò spiega perché queste lettere si differenziano dai modelli diffusi all'epoca.

L'epistolografia umanistica ricorreva a rigidi canoni di elaborazione retorica e prevedeva che venissero offerti anche modelli di comportamento ideale. Machiavelli invece nelle sue lettere cerca di stabilire un tono colloquiale con il destinatario e dimostra un'estrema libertà linguistica e stilistica. Con il suo occhio spregiudicato guarda alla realtà cercando di ricostruire le forme concrete della vita sociale e politica. Il carattere privato di questi testi è riconoscibile anche dalla varietà dei temi trattati: l'autore passa dalle severe riflessioni filosofiche, politiche e storiche a più leggere divagazioni, scherzi e battute.[9]

Il gruppo più importante è composto però dalle lettere all'amico Francesco Vettori, ambasciatore di Firenze a Roma. Questa corrispondenza risale agli anni successivi alla perdita della segreteria, e copre il periodo compreso tra marzo 1513 e gennaio 1515. Machiavelli riflette sulla situazione politica di Firenze e dell'Italia, ma spesso indugia anche su particolari privati e autobiografici. Celebri, in questo senso, sono le pagine in cui racconta una giornata tipo all'Albergaccio di Sant'Andrea in Percussina (lettera del 10 dicembre 1513).[10]

Nell'epistolario vengono inoltre inseriti i Ghiribizzi, scritti nel 1506 e inviati a Giovanni Battista Soderini. Qui per la prima volta Machiavelli fa riferimento alla varietà dei modi di procedere e al diverso successo che gli uomini possono ottenere, un tema centrale nelle sue maggiori opere politiche.[11]

Le ultime opere[modifica]

L'arte della guerra[modifica]

L'arte della guerra è un dialogo in sette libri stampato nel 1521, in cui Machiavelli tenta di compiere una sintesi della sua riflessione sul tema delle milizie e dell'organizzazione militare. Si immagina che nel 1516, negli Orti Oricellari, il condottiero Fabrizio Colonna si sia soffermato a discutere con Cosimo Rucellai, Zanobi Buondelmonti, Battista della Palla e Luigi Alamanni.

Torna la polemica contro le armi mercenarie e si sostiene la necessità che l'esercito sia strettamente legato allo stato e alla sua vita civile. Riprendendo inoltre dei princìpi risalenti all'antica Roma, viene sottolineata l'importanza della fanteria. Più in generale, influenzato dalla cultura degli Orti Oricellari, Machiavelli guarda alla virtù romana come a un modello ideale di perfezione, che però nulla ha a che fare con la realtà contemporanea.[12]

In appendice all'Arte della guerra è pubblicata la Vita di Castruccio Castracani, scritta nel 1520, una delle prime prove di Machiavelli come storico.

Le Istorie fiorentine[modifica]

Autografo della Istorie fiorentine

La maggiore opera storica di Machiavelli sono le Istorie fiorentine, commissionate dallo studio fiorentino nel 1519 e poi consegnante nelle mani del papa Clemente VII nel maggio 1525. La prima edizione a stampa, però, apparve postuma nel 1531, insieme al Principe e ai Discorsi.

Machiavelli non si limita a riportare i fatti e gli eventi, ma con uno sguardo libero e spregiudicato analizza la situazione politica dell'Italia del Quattrocento, denunciando le manovre dei principi e dei governi dell'epoca. La storia recente di Firenze viene duramente condannata, soprattutto se paragonata alla storia romana antica. Allo stesso tempo, Machiavelli rimane attaccato alla città e al suo mondo, e prospetta l'arrivo di un legislatore in grado rinnovare le tradizioni e risollevare Firenze dalla crisi.[13]

Note[modifica]

  1. Cronologia in Niccolò Machiavelli, Il Principe, a cura di Giorgio Inglese, Torino, Einaudi, 2013, pp. LI-LIX.
  2. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 268-269.
  3. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Machiavelli e Guicciardini, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 4.
  4. 4,0 4,1 4,2 4,3 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Machiavelli e Guicciardini, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 5.
  5. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 273-275.
  6. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Machiavelli e Guicciardini, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 6.
  7. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 276-278.
  8. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 275.
  9. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 267.
  10. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 268.
  11. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 269.
  12. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 277-278.
  13. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 279-280.

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